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COP26: com’è andata la conferenza sul clima

La conferenza sul clima delle Nazioni Unite si è faticosamente conclusa con la vittoria di India, Cina e Stati Uniti sull’utilizzo del carbone, che non verrà eliminato ma soltanto ridotto. Un’occasione persa che ritarderà ancora una volta il raggiungimento degli obiettivi di contenimento delle emissioni di gas serra e la lotta ai cambiamenti climatici

di Giulia Foschi

Com’era prevedibile, Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si è conclusa il 13 novembre a Glasgow, ha seguito un percorso tortuoso e complesso, con qualche slancio in avanti e vistosi passi indietro. I lavori sono proseguiti oltre al termine previsto nel tentativo di raggiungere un accordo che scontentasse il meno possibile le diverse parti in gioco. Il risultato è quindi inevitabilmente vago e debole: decisioni e dichiarazioni d’intento positive, nella maggior parte dei casi non supportate da numeri e termini inequivocabili e da scadenze chiare e definitive. Che è invece – come affermano con evidente delusione Greta Thunberg e gli attivisti di Friday for Future –quanto la situazione attuale avrebbe richiesto, senza ulteriori indugi.

Lo strappo di India, Cina e Stati Uniti su carbone e fonti fossili

Il passaggio più eclatante, purtroppo in termini negativi, che ha segnato la conferenza sul clima, è stato il ridimensionamento dell’impegno per l’eliminazione graduale del carbone a un non meglio definito “rallentamento”. Questa piccola modifica – da “phase out” a “phase down” – è sostanziale. È vero che per la prima volta si parla di vie di uscita dall’uso del carbone. Ma in questi termini, non imponendo limiti definiti, il rallentamento può significare tutto e niente. Ne ha dato notizia al termine dei lavori il presidente britannico Alok Sharma, con visibile scoramento, chiedendo scusa per come sono andate le cose. Per quanto riguarda i finanziamenti alle fonti fossili si parla di uno stop – che in prima battuta doveva essere totale – solo per quelle “inefficienti”. Anche in questo caso, senza ulteriori indicazioni: dunque, chi stabilirà un eventuale criterio di efficienza? 

La conferma dell’obiettivo a 1,5 gradi

L’accordo raggiunto a Glasgow mantiene l’obiettivo del contenimento dell’aumento della temperatura globale media entro gli 1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Tuttavia, il raggiungimento di tale obiettivo sembra ancora molto lontano e sempre meno probabile. Per raggiungerlo, sarebbe necessario tagliare le emissioni di gas serra del 45% entro il 2030. Si crea quindi un contrasto con l’indebolimento di cui abbiamo parlato al punto precedente. Una buona notizia è la decisione di rivedere ogni anno, da qui al 2030, l’andamento della riduzione delle emissioni.

In questo modo, perlomeno, ogni Paese potrà tenere sotto controllo la situazione. Anche se è praticamente certo che andremo comunque incontro ad una intensificazione dei fenomeni climatici estremi indotti dai cambiamenti climatici. Non emergono comunque meccanismi vincolanti legati alla riduzione di emissioni. In sintesi, non c’è nulla di nuovo o più cogente rispetto a quanto stabilito con gli Accordi di Parigi durante la Cop21. La differenza è che sono passati sei anni. E che durante il summit di Glasgow si è dibattuto a lungo per conservare i target stabiliti a Parigi, invece di puntare a soluzioni più ambiziose.

La delusione dei Paesi poveri

Un altro tema faticosamente e a lungo dibattuto riguarda i risarcimenti per i Paesi meno sviluppati, che spesso subiscono più violentemente le conseguenze del cambiamento climatico. Al quale, va aggiunto, essi contribuiscono molto meno dei Paesi ricchi. L’ipotesi di un meccanismo di restituzione da parte delle economie più avanzate al momento non si è concretizzata. Ne è stata riconosciuta la necessità, a in sostanza non sono stati stanziati finanziamenti. L’obiettivo è stato rimandato a decisioni future. 

Le decisioni collaterali e gli accordi parziali

All’interno di Cop26 sono stati raggiunti diversi accordi specifici o parziali. Tra questi, lo stop alla deforestazione entro il 2030, firmata da oltre 100 Paesi, e l’obiettivo ridurre del 30 per cento le emissioni di metano, sempre entro il 2030. Quest’ultimo, importante, accordo, è stato promosso da Europa e Stati Uniti e siglato da più di cento Stati. Restano però fuori Russia, Cina e India. 22 Paesi hanno invece promesso che tra il 2035 e il 2040 tutti i veicoli in commercio saranno elettrici: hanno tuttavia rifiutato la firma i più importanti produttori di auto come Stati Uniti, Germania e Cina.

I prossimi passi

Entro un anno, i Paesi che non l’hanno ancora fatto dovranno consegnare i loro piani nazionali. Partirà poi un programma di lavoro per accelerare la riduzione delle emissioni, i cui risultati verranno presentati durante la Cop27, che si terrà a Sharm-el-Sheik, in Egitto. Inoltre, una commissione annuale verificherà l’andamento delle strategie sul clima dei vari Paesi. Tra qualche luce e molte ombre, si confida ancora una volta nei prossimi passi. 

Foto: Number 10 – Flickr