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Insostenibile Italia, terra del dissesto idrogeologico

Il 91% dei comuni italiani è a rischio per frane e alluvioni. Fenomeni che hanno segnato la storia del nostro Paese e che a causa dei cambiamenti climatici stanno iniziando a presentarsi con maggiore frequenza e intensità

Le recenti alluvioni in Germania, Belgio e Olanda, che hanno causato la morte di oltre 200 persone, mostrano in tutta la loro evidenza le conseguenze catastrofiche dei cambiamenti climatici. Non si può più dubitare, infatti, che esista un rapporto diretto tra gli eventi atmosferici estremi e l’aumento della temperatura media della Terra. Tempeste, inondazioni, lunghi periodi di siccità, incendi, ondate di caldo, temperature anomale sono tutti sintomi del surriscaldamento globale. L’Italia, purtroppo, non fa eccezione. Al contrario: il nostro Paese è il più esposto d’Europa alle alluvioni e il 91% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico.

Una lunga storia di alluvioni

Le inondazioni e gli eventi a rischio idrogeologico sono frequenti e diffusi in Italia. Tra i più recenti ricordiamo lo straripamento del fiume Milicia e altri corsi d’acqua a Palermo nel novembre 2018 (13 morti), le alluvioni nelle province di Olbia-Tempio, Nuoro, Oristano e Cagliari nel 2013 (18 morti), le colate detritiche causate dalle forti piogge in provincia di Messina nel 2009 (37 morti), la tragica frana del Sarno nel 1998, che causò 160 morti.

Dagli anni ’50 ad oggi simili eventi si sono susseguiti con continuità, provocando danni ingenti e numerose vittime: negli ultimi 50 anni gli eventi di frana e di inondazione hanno causato 1.947 morti, 69 dispersi, 2.534 feriti e 412.087 evacuati e senzatetto. Tra le principali cause, l’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) annovera il “forte incremento delle aree urbanizzate, verificatosi a partire dal secondo dopoguerra, spesso in assenza di una corretta pianificazione territoriale”, unito all’abbandono delle aree rurali montane e collinari. Le superfici artificiali sono infatti passate “dal 2,7% negli anni ‘50 al 7,65% del 2017”.

Dissesto idrogeologico: la fotografia dell’Italia

L’ultimo rapporto Ispraconteggia 7.275 comuni (91% del totale) a rischio per frane e/o alluvioni. “Il 16,6% del territorio nazionale è classificato a maggiore pericolosità; 1,28 milioni di abitanti sono a rischio frane e oltre 6 milioni di abitanti a rischio alluvioni”. L’indice di resilienza locale è più alto al Nord, mentre molte regioni del Sud soffrono per eventi climatici estremi. Le frane sono fenomeni estremamente diffusi, anche tenuto conto che il 75% del territorio nazionale è montano-collinare.

Delle circa 900mila frane censite nelle banche dati dei Paesi europei, quasi i 2/3 sono avvenute in Italia. Le alluvioni di cui l’Italia ha una lunga memoria storica, sono fenomeni naturali impossibili da prevenire; tuttavia – sottolinea Ispra – oltre alla particolare conformazione della penisola italiana che facilita purtroppo questi episodi, alcune attività antropiche, “quali la crescita degli insediamenti umani, l’incremento delle attività economiche, la riduzione della naturale capacità di laminazione del suolo per la progressiva impermeabilizzazione delle superfici e la sottrazione di aree di naturale espansione delle piene, contribuiscono ad aumentarne la probabilità e ad aggravarne le conseguenze”.

L’impegno del governo italiano e i fondi del PNRR

Il Piano nazionale ripresa resilienza (PNRR) ha assegnato circa 70 miliardi (sui complessivi 235) alla Missione 2, denominata “Rivoluzione verde e transizione ecologica”: la terza voce per impegno economico di questa Missione è dedicata alla tutela del territorio e della risorsa idrica (circa 15 miliardi). Tra gli obiettivi rientra la prevenzione e il contrasto degli effetti dei cambiamenti climatici sui fenomeni di instabilità idrogeologica e sulla vulnerabilità del territorio nelle aree urbane. In che modo? Attraverso “interventi strutturali e non strutturali per la gestione del rischio di alluvioni e la riduzione del rischio idrogeologico (comprese l’innovazione e la digitalizzazione delle reti di monitoraggio territoriale)”, la realizzazione di “foreste urbane”, “interventi per la resilienza, il miglioramento del territorio e l’efficienza energetica dei comuni”. Forse un primo passo per tentare di intervenire in una situazione ormai endemica e troppo a lungo ignorata.