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10 esempi di Greenwashing che hanno fatto scuola

In un panorama come quello attuale, in cui la sostenibilità svolge un ruolo centrale nelle scelte dei consumatori, sempre più aziende proclamano il proprio impegno ambientale. Ma quanto c’è di vero? 

 

Il greenwashing, ovvero la pratica di mascherare strategie non sostenibili con una patina “green”, è diventato una realtà più comune di quanto si possa pensare.

 

Dalle campagne pubblicitarie milionarie ai rebranding ambiziosi, numerosi casi di greenwashing hanno sollevato interrogativi su come – spesso – le aziende sfruttino l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema della sostenibilità per guadagnare vantaggi competitivi. 

 

Riconoscere queste pratiche è fondamentale per fare scelte consapevoli e per promuovere un autentico cambiamento. Scopriamo insieme 10 esempi celebri, analizzando il contesto, i motivi per cui sono diventati noti e le conseguenze che hanno avuto sull’opinione pubblica e sul mercato.

 

1.Chevron e le pubblicità ingannevoli: il caso “People Do”

Negli anni ’80, la Chevron, una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo, lanciò una campagna pubblicitaria intitolata “People Do”, un progetto che mirava a posizionare l’azienda come leader nella sostenibilità ambientale. Gli spot televisivi mostravano immagini evocative di fauna selvatica, foreste rigogliose e tecnici Chevron intenti a proteggere l’ambiente. Il messaggio centrale era chiaro: la Chevron era un’azienda che si prendeva cura della natura.

 

Tuttavia, mentre la campagna guadagnava consensi e migliorava l’immagine del marchio, le pratiche aziendali raccontavano una storia completamente diversa. Durante lo stesso periodo in cui investiva milioni in pubblicità “green”, la Chevron era al centro di controversie per gravi violazioni ambientali. L’azienda continuava a sversare petrolio nelle acque e nei terreni e a violare sistematicamente le normative federali sugli scarichi inquinanti.

 

Un rapporto dell’Environmental Protection Agency (EPA) evidenziava come molte delle azioni pubblicizzate dalla Chevron non fossero altro che iniziative minime, obbligatorie per legge e ben lontane dall’essere volontarie o innovative. Ad esempio, i progetti di tutela ambientale promossi negli spot rappresentavano una frazione insignificante rispetto alle emissioni effettive dell’azienda.

 

Il caso Chevron è stato uno dei primi esempi su vasta scala di greenwashing e ha portato l’opinione pubblica e i media a interrogarsi sull’autenticità delle iniziative ambientali aziendali. Sebbene la campagna abbia ottenuto un riconoscimento pubblicitario, tra cui premi per la creatività, ha messo in evidenza come il greenwashing possa essere una strategia di marketing tanto efficace quanto ingannevole.

 

Secondo uno studio di TerraChoice, il caso Chevron ha contribuito a definire uno dei “7 peccati capitali del greenwashing”: “la minaccia nascosta”, ovvero enfatizzare azioni ecologiche minimali per distogliere l’attenzione da impatti ambientali significativi.

 

2. Coca-Cola e il programma “World Without Waste”

 

Nel 2018, Coca-Cola ha lanciato l’ambizioso programma “World Without Waste“, con l’obiettivo di raccogliere e riciclare una bottiglia o lattina per ogni unità venduta entro il 2030. La strategia si articola in tre aree chiave: 

  • design
  • raccolta 
  • partnership. 

L’azienda si è impegnata a rendere il 100% dei suoi imballaggi riciclabili entro il 2025 e a utilizzare almeno il 50% di materiali riciclati negli imballaggi entro il 2030.

 

Nonostante questi impegni, Coca-Cola è stata ripetutamente identificata come uno dei principali inquinatori di plastica a livello globale (insieme alla rivale Pepsi). Secondo il rapporto “Branded” del 2021 di Break Free From Plastic, l’azienda è stata classificata come il maggiore inquinatore di plastica per il quarto anno consecutivo.

 

Inoltre, nel 2023, Coca-Cola ha prodotto quasi 6 milioni di tonnellate di imballaggi, inclusi 137 miliardi di bottiglie di plastica.

 

Le discrepanze tra gli impegni dichiarati e le pratiche effettive hanno portato a critiche da parte di organizzazioni ambientaliste. Ad esempio, nel 2022, Coca-Cola è stata sponsor della COP27, suscitando polemiche per il suo ruolo predominante nell’inquinamento da plastica.

 

Inoltre, nel 2024, l’azienda ha rivisto al ribasso i suoi obiettivi ambientali, riducendo l’impegno nell’uso di materiali riciclati e nella raccolta degli imballaggi, decisione che ha attirato ulteriori critiche da parte di gruppi ambientalisti. 

3. Il caso Volkswagen e il Dieselgate

Uno dei più celebri scandali di greenwashing è senza dubbio il caso Volkswagen, meglio conosciuto come Dieselgate, scoppiato nel 2015. 

 

Volkswagen, uno dei maggiori produttori di automobili al mondo, aveva promosso i suoi veicoli diesel come modelli di sostenibilità ed efficienza ambientale. L’azienda aveva addirittura pubblicizzato alcune vetture come “Clean Diesel“, sostenendo che fossero in linea con i più severi standard ambientali.

 

Un’indagine condotta dall’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (EPA) rivelò che Volkswagen aveva installato nei suoi veicoli un software che manipolava i test sulle emissioni. Questo dispositivo era in grado di riconoscere quando il veicolo era sottoposto a controlli e riduceva temporaneamente le emissioni per rispettare i limiti legali. Tuttavia, in condizioni di guida normali, le emissioni di ossidi di azoto (NOx) erano fino a 40 volte superiori ai limiti consentiti.

 

Lo scandalo Dieselgate ebbe ripercussioni enormi. Volkswagen fu costretta a richiamare oltre 11 milioni di veicoli in tutto il mondo, di cui circa 8,5 milioni in Europa. L’azienda affrontò una serie di cause legali e sanzioni economiche, pagando più di 30 miliardi di dollari in multe, risarcimenti e costi legati al richiamo delle auto. Inoltre, il caso sollevò gravi dubbi sull’affidabilità di altre case automobilistiche, spingendo diversi governi a rivedere i metodi di controllo delle emissioni.

 

4. Il caso H&M e la collezione “Conscious”

H&M, uno dei giganti mondiali del fast fashion, è stato invece accusato di greenwashing per la sua collezione “Conscious”, pubblicizzata come un’opzione ecologica per i consumatori. 

 

Tuttavia, un’indagine condotta da Quartz nel 2021 ha rivelato che molti dei capi etichettati come sostenibili non mostravano effettivi benefici ambientali rispetto ad altri prodotti. Anzi, alcuni risultavano più dannosi per l’ambiente, in termini di produzione e smaltimento.

 

Un altro punto critico emerso è la mancanza di trasparenza: H&M forniva informazioni vaghe o incomplete sui processi di produzione e sui materiali utilizzati. L’azienda ha anche ricevuto accuse per il fenomeno del greenwashing linguistico, utilizzando termini come “sostenibile” o “ecologico” senza supportarli con dati concreti.

 

Nel 2022, l’azienda ha dovuto affrontare una class action negli Stati Uniti, accusata di pubblicità ingannevole per la linea “Conscious”.

 

L’episodio ha inoltre spinto la Commissione Europea a proporre regolamenti più severi per vietare le affermazioni ambientali infondate nei prodotti di consumo.

 

5. Starbucks e i bicchieri “eco-friendly”

Nel 2018, Starbucks ha annunciato con grande clamore il lancio di un bicchiere interamente riciclabile per ridurre l’impatto ambientale dell’azienda. Tuttavia, in molti mercati, i bicchieri non sono stati effettivamente riciclati a causa della mancanza di infrastrutture locali in grado di gestirli. In pratica, i materiali, pur essendo tecnicamente riciclabili, non erano effettivamente smaltiti nel modo corretto, finendo per incrementare i rifiuti.

 

L’annuncio ha attirato critiche da parte di organizzazioni ambientaliste, che hanno sottolineato come il riciclo non fosse possibile nella maggior parte delle città in cui l’azienda opera. Questo ha portato molti a etichettare l’iniziativa come un’operazione di greenwashing: una strategia per migliorare l’immagine ambientale senza apportare cambiamenti significativi.

 

Starbucks ha subito un contraccolpo mediatico e ha dovuto affrontare crescenti pressioni per migliorare le sue pratiche. Nel 2020, l’azienda ha annunciato nuovi obiettivi di sostenibilità, inclusa l’introduzione di tazze riutilizzabili, ma il caso ha evidenziato l’importanza di fornire soluzioni pratiche e non solo dichiarazioni di intenti.

 

6. McDonald’s e le cannucce di carta

McDonald’s ha introdotto le cannucce di carta nei suoi ristoranti nel 2018 come parte del suo impegno per la sostenibilità ambientale, attirando inizialmente l’attenzione positiva dei consumatori. Tuttavia, questa iniziativa si è rivelata controversa ed è stata accusata di greenwashing.

 

Le cannucce di carta sono state promosse come una soluzione più ecologica rispetto a quelle di plastica, con l’intento di ridurre i rifiuti di plastica nei mari e negli oceani. Tuttavia, è emerso che queste cannucce non erano riciclabili nei sistemi di riciclaggio tradizionali disponibili nel Regno Unito, dove il progetto era stato inizialmente lanciato.

 

McDonald’s ha pubblicizzato l’iniziativa come una mossa per ridurre l’impatto ambientale, ma la realtà è che – almeno in un primo momento – le cannucce di carta finivano nello stesso sistema di smaltimento delle cannucce di plastica, senza benefici significativi per l’ambiente. 

 

7. BP e la campagna “Beyond Petroleum”

British Petroleum (BP), una delle maggiori compagnie petrolifere al mondo, ha lanciato all’inizio degli anni 2000 una campagna di rebranding sotto il nome “Beyond Petroleum” (oltre il petrolio), cercando di posizionarsi come un’azienda leader nella transizione verso un futuro più sostenibile.

 

Per l’occasione, il gigante petrolifero ha investito oltre 200 milioni di dollari in una massiccia campagna pubblicitaria che le permettesse di rinnovare la propria immagine. Ha introdotto un nuovo logo, un sole verde e giallo, per simboleggiare il suo impegno verso l’energia pulita e rinnovabile. La compagnia ha anche dichiarato di voler incrementare i propri investimenti in fonti di energia alternativa.

 

Nonostante queste promesse, le attività principali di BP sono rimaste fortemente incentrate sull’estrazione e la produzione di combustibili fossili. Nel 2005, l’azienda ha investito solo il 4% del suo budget annuale in energia rinnovabile, continuando a espandere i suoi progetti di estrazione di petrolio e gas in aree ecologicamente sensibili. 

 

Le critiche alla campagna di BP si sono intensificate dopo il disastro della Deepwater Horizon, che ha evidenziato una discrepanza tra le dichiarazioni pubblicitarie e le azioni dell’azienda. La compagnia è stata accusata di cercare di sviare l’attenzione dalle sue responsabilità ambientali utilizzando il greenwashing come strumento per migliorare la propria reputazione.

 

8. Nestlé e l’acqua sostenibile: una promessa non mantenuta

Nel corso degli ultimi due decenni, Nestlé è stata al centro di numerose controversie legate alla gestione delle risorse idriche e alle sue dichiarazioni di sostenibilità. In particolare, durante gli anni 2010, l’azienda ha intensificato le sue campagne di marketing per promuovere un’immagine “green” delle sue acque in bottiglia, affermando di operare in modo responsabile verso l’ambiente.

 

Nello specifico, l’azienda aveva dichiarato che le sue operazioni legate all’acqua – ossia l’estrazione, l’imbottigliamento e la distribuzione di acqua destinata al consumo umano – fossero condotte in modo sostenibile. Nestlé ha enfatizzato il proprio impegno nel proteggere le risorse idriche e ha promesso che tutte le sue bottiglie sarebbero state realizzate con materiali riciclabili al 100%.

 

Tuttavia, indagini indipendenti hanno rivelato una realtà diversa. In stati come la California e il Michigan, Nestlé è stata accusata di estrarre quantità massicce di acqua dalle fonti locali, spesso pagando somme irrisorie per i permessi, mentre le comunità locali soffrivano di carenza idrica. Inoltre, mentre l’azienda promuoveva le sue bottiglie come completamente riciclabili, una significativa percentuale di plastica finiva in discarica o inquinava gli oceani, aggravando la crisi globale dei rifiuti plastici.

 

La reputazione di Nestlé – già colpita da diversi scandali – ha subito un colpo ulteriore. Campagne condotte da gruppi ambientalisti, come Greenpeace, hanno messo in luce le pratiche discutibili dell’azienda, aumentando la pressione per un cambiamento reale. In risposta, Nestlé ha annunciato iniziative per ridurre il proprio impatto ambientale, ma le critiche non si sono fermate, specialmente per quanto riguarda l’uso della plastica e l’accesso equo alle risorse idriche.

 

9. Ryanair e le affermazioni sulle “emissioni più basse”

Nel 2019, Ryanair ha lanciato una campagna pubblicitaria in cui si autodefiniva “la compagnia aerea con le tariffe più basse in Europa e le emissioni più basse”. La compagnia basava questa affermazione sulle emissioni di CO₂ per passeggero per chilometro volato, sottolineando l’efficienza della sua flotta e l’elevata densità di posti a sedere.

 

Tuttavia, l’Advertising Standards Authority (ASA) del Regno Unito ha ricevuto diverse segnalazioni che mettevano in dubbio la veridicità di queste affermazioni. Dopo un’indagine, l’ASA ha stabilito che Ryanair non aveva fornito prove sufficienti a supporto delle sue dichiarazioni e che le pubblicità potevano indurre in errore i consumatori riguardo all’impatto ambientale dei voli. Di conseguenza, nel febbraio 2020, l’ASA ha ordinato il ritiro degli spot pubblicitari in questione.

 

Nonostante Ryanair promuovesse un’immagine di compagnia aerea ecologicamente efficiente, infatti, nel 2018 è diventata la prima compagnia aerea e l’unica non centrale a carbone a figurare tra le dieci aziende con le più alte emissioni di CO₂ nell’UE. In quell’anno, Ryanair ha emesso l’equivalente di 9,9 megatonnellate di CO₂, con un aumento delle emissioni del 49% in cinque anni.

 

Inoltre, le affermazioni di Ryanair si basavano su metriche pro capite, senza considerare l’impatto complessivo delle sue operazioni e l’alta densità di posti sui suoi voli, che contribuisce a un maggiore consumo di carburante e, di conseguenza, a maggiori emissioni totali.

 

10. Fiji Water e il “green” packaging: una facciata ecologica discutibile

Fiji Water, celebre per la sua acqua in bottiglia proveniente dalle isole Figi, ha spesso promosso un’immagine di sostenibilità ambientale attraverso il suo packaging e le sue campagne di marketing

 

Fiji Water ha introdotto un simbolo a forma di goccia verde sulle sue bottiglie, accompagnato da slogan come “FijiGreen” e “Every Drop is Green“, suggerendo un impegno ecologico significativo. Questa simbologia poteva indurre i consumatori a credere che l’acqua fosse certificata da enti ambientali indipendenti o che l’azienda avesse adottato pratiche sostenibili superiori alla media.

 

Inoltre, Fiji Water ha dichiarato di essere “carbon negative”, affermando di rimuovere più anidride carbonica dall’atmosfera di quanta ne emettesse. Tuttavia, queste affermazioni si basavano su un metodo di calcolo controverso chiamato “forward crediting”, che attribuisce crediti per riduzioni di carbonio future non ancora realizzate. Successivamente, sono emerse anche preoccupazioni riguardo alla presenza di microplastiche nell’acqua imbottigliata da Fiji Water, che hanno sollevato ulteriori dubbi sulla purezza e naturalità del prodotto.