Il sesto rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico non lascia spazio ai dubbi: i fenomeni metereologici estremi, l’innalzamento del livello del mare e il surriscaldamento globale stanno peggiorando. Solo una riduzione drastica delle emissioni di gas serra potrebbe invertire la tendenza
L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico – è il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite (l’Organizzazione meteorologica mondiale e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) con l’obiettivo di studiare il riscaldamento globale. Periodicamente l’IPCC diffonde i suoi rapporti di valutazione, che rappresentano la base degli accordi mondiali sulla salvaguardia del Pianeta. A fine estate è stato diffuso il sesto rapporto che, purtroppo, non porta buone notizie: le tendenze in corso legate ai cambiamenti climatici si rafforzano; solo un radicale cambiamento nelle emissioni di CO2 sarebbe in grado di invertirle.
Le conclusioni dei rapporti precedenti
Nel primo rapporto del 1990, l’IPCC rivelò come l’anidride carbonica contribuisca ad aumentare l’effetto serra e la responsabilità diretta delle attività umane in questo processo. I successivi rapporti avviarono un approfondimento sulla crisi climatica e sui danni ambientali strutturando lo studio in gruppi di lavoro. Il quinto rapporto di valutazione (2013-2014) attribuisce all’uomo una responsabilità pari al 95% per il cambiamento climatico, confermando tutte le tendenze in corso: aumento della temperatura dell’atmosfera e degli oceani, incremento del livello del mare e diminuzione dell’estensione del volume del ghiaccio terrestre. Al centro dello studio ancora una volta la CO2, principale responsabile dei cambiamenti in atto tra i gas serra: la sua concentrazione nell’atmosfera è cresciuta del 20% rispetto al 1958 e del 40% dal 1750.
I punti chiave del sesto rapporto
Rispetto al precedente, il sesto rapporto IPCC introduce osservazioni più dettagliate, unite a modelli climatici sempre più perfezionati. Emerge, nel complesso, che le emissioni dei principali gas serra sono ulteriormente cresciute, raggiungendo nel 2019 concentrazioni di 410 parti per milione (ppm) per la CO2 e 1866 parti per miliardo (ppb) per il metano. La temperatura media globale nel decennio 2011-2020 è stata di 1.09°C superiore a quella del periodo 1850-1900. Come conseguenza del riscaldamento climatico, il livello del mare fra il 1901 e il 2020 si è innalzato in media di 20 cm, con una crescita media di 1.35 mm all’anno dal 1901 al 1990 e di 3.7 mm all’anno fra il 2006 e il 2018.
Fenomeni estremi
Le prove che legano eventi metereologici estremi come ondate di calore, precipitazioni intense, siccità e cicloni tropicali all’attività umana si sono rafforzate. La connessione con i cambiamenti climatici è ormai assodata. Le ondate di calore, in particolare, sono diventate più frequenti e più intense in tutto il mondo, mentre le ondate di calore marine sono addirittura raddoppiate dagli anni ’80. Il surriscaldamento globale ha inoltre causato l’aumento del livello medio del mare a causa dello scioglimento di ghiaccio e dell’espansione termica dovuta al riscaldamento degli oceani.
Covid-19 e qualità dell’aria
L’inaspettato avvento della pandemia ha determinato una riduzione in tempi brevissimi delle emissioni di gas serra in tutto il mondo come conseguenza dei lockdown. Il risultato di questo involontario esperimento è poco confortante: il netto miglioramento temporaneo della qualità dell’aria a livello globale (– 7% delle emissioni globali di CO2), non ha prodotto alcun effetto sulla concentrazione di CO2 nell’atmosfera. In altre parole, la temperatura media del Pianeta non è minimamente cambiata in seguito allo stop momentaneo dei trasporti e di tante attività umane. Come mai? La ragione risiede nel fatto che la CO2 permane nell’atmosfera per secoli, quindi una sospensione delle emissioni per un periodo circoscritto non determina alcun effetto sul riscaldamento globale.
Il destino dei ghiacci e gli scenari futuri
In base ai dati emersi dal sesto rapporto, possiamo aspettarci che la temperatura globale continuerà ad aumentare almeno fino alla metà del secolo. Il riscaldamento globale di 1,5°C e 2°C sarà superato nel corso del XXI secolo a meno che non si verifichino nei prossimi decenni profonde riduzioni delle emissioni di CO2 e di altri gas serra. È certo in ogni caso che la superficie terrestre continuerà a riscaldarsi più di quella oceanica e che l’Artico continuerà a riscaldarsi a una velocità due volte superiore rispetto a quella della temperatura superficiale globale: è probabile che quest’area del Pianeta caratterizzata dai ghiacci perenni sarà priva di ghiaccio marino a settembre almeno una volta prima del 2050. La continua perdita di ghiaccio nel corso del XXI secolo è virtualmente certa per la calotta glaciale della Groenlandia e probabile per la calotta glaciale antartica.
Molti cambiamenti dovuti alle emissioni di gas serra sono irreversibili per secoli o addirittura millenni. In modo particolare quelli che interessano l’oceano, le calotte glaciali e il livello del mare. Alcuni eventi estremi avranno aumenti senza precedenti anche se il riscaldamento globale aumenterà “solo” di 1,5°C rispetto al periodo pre-industriale. Nel lungo periodo, il livello del mare è destinato ad aumentare per millenni. Nei prossimi 2000 anni, il livello medio globale del mare potrebbe aumentare di circa 2-3 m se il riscaldamento sarà limitato a 1,5°C e di 2-6 m se sarà limitato a 2°C.