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Cosa è il greenwashing e come riconoscerlo

Il greenwashing rappresenta una delle sfide più complesse del nostro tempo nella comunicazione della sostenibilità aziendale.

Con l’aumento della sensibilità ambientale dei consumatori e l’urgenza della transizione ecologica, sempre più aziende si trovano a dover rispondere alla domanda crescente di prodotti e servizi sostenibili. Tuttavia, non tutte scelgono la strada dell’impegno autentico.

Cosa si intende per greenwashing

Per greenwashing si intende una strategia di comunicazione o marketing ingannevole attraverso la quale aziende, istituzioni o organizzazioni presentano se stesse, i propri prodotti o servizi come più ecosostenibili di quanto non siano realmente. Il termine deriva dalla combinazione di “green” (verde, simbolo dell’ecologismo) e “whitewashing” (letteralmente “imbiancare”, ovvero nascondere o coprire).

Il greenwashing è definibile come “una strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli effetti negativi per l’ambiente delle loro attività o prodotti”.

Le origini del termine

La prima utilizzazione del termine risale al 1986, quando l’ambientalista americano Jay Westerveld lo coniò per descrivere una pratica osservata nelle catene alberghiere. Gli hotel invitavano gli ospiti a riutilizzare gli asciugamani “per salvare l’ambiente”, mentre in realtà l’obiettivo era semplicemente ridurre i costi operativi di lavanderia.

Il fenomeno si è intensificato soprattutto a partire dagli anni novanta, alimentato dalla crescente attenzione dei consumatori alla tutela dell’ambiente e dall’incidenza dell’impatto ambientale sulle decisioni di acquisto.

Come si manifesta il greenwashing

Il greenwashing può assumere numerose forme e sfaccettature, rendendo spesso difficile per consumatori e investitori distinguere tra impegni autentici e comunicazione ingannevole. Le principali modalità attraverso cui si manifesta includono:

Comunicazione vaga e non verificabile

Una delle caratteristiche più comuni del greenwashing è l’utilizzo di claim ambientali vaghi che non possono essere facilmente verificati. Espressioni come “ecologico”, “sostenibile”, “amico dell’ambiente”, “100% naturale” o “carbon neutral” vengono utilizzate senza fornire dati concreti o specificazioni misurabili.

Questi messaggi creano l’illusione di un impegno ambientale senza dover dimostrare risultati concreti. La vaghezza è intenzionale: permette alle aziende di evitare controlli approfonditi mantenendo un’immagine verde.

Sovraesposizione di azioni marginali

Molte aziende praticano greenwashing enfatizzando iniziative minori o simboliche mentre ignorano problemi ambientali più significativi nelle loro operazioni principali. Questo approccio, noto anche come “greenlighting”, consiste nel mettere sotto i riflettori una piccola caratteristica verde per distogliere l’attenzione da attività dannose condotte altrove.

Un esempio tipico è un’azienda che pubblicizza l’utilizzo di imballaggi riciclati mentre continua a utilizzare processi produttivi altamente inquinanti, o che promuove la piantumazione di alberi mentre le sue attività principali contribuiscono significativamente alle emissioni di gas serra.

Uso improprio di simboli e colori

Il greenwashing si manifesta spesso attraverso una comunicazione visiva studiata per evocare sostenibilità: predominanza del colore verde, immagini di foglie, alberi, paesaggi naturali o animali selvatici. Questi elementi grafici vengono utilizzati per creare un’associazione mentale con la natura e l’ecologia, anche quando il prodotto o servizio non ha alcuna caratteristica sostenibile reale.

Certificazioni false o fuorvianti

Alcune aziende utilizzano etichette o certificazioni che non sono riconosciute ufficialmente o che non seguono standard verificati. Questo può includere l’invenzione di loghi simili a certificazioni reali, l’utilizzo di certificazioni auto-dichiarate, o il riferimento a standard che sono stati superati o non sono più validi.

I sette peccati capitali del greenwashing

L’organizzazione TerraChoice Environmental Marketing ha identificato sette pratiche comuni che caratterizzano il greenwashing:

Peccato Descrizione Esempio tipico
Compromesso nascosto Enfatizza un aspetto green ignorando impatti negativi maggiori Auto elettrica promossa come green senza menzionare l’estrazione intensiva di litio
Mancanza di prove Affermazioni senza dati verificabili “Riduzione 50% emissioni” senza fonte o baseline
Ambiguità Termini vaghi non specifici “100% naturale” senza specificare cosa
Irrilevanza Caratteristiche senza impatto ambientale significativo “Senza CFC” quando i CFC sono già vietati
Minimizzazione Focus su piccoli aspetti positivi Imballaggi riciclati ma produzione inquinante
Cattiva certificazione Etichette non riconosciute Loghi inventati dall’azienda
Falsità Dichiarazioni completamente false “Carbon neutral” senza compensazioni reali

Greenwashing nel settore finanziario

Il fenomeno si estende anche agli investimenti ESG e alla finanza sostenibile. Nel settore finanziario il greenwashing consiste nel “dire o fare cose che non riflettono in modo chiaro e corretto il profilo di sostenibilità di un ente, un prodotto finanziario o un servizio finanziario”.

Questo può manifestarsi attraverso:

  • Fondi di investimento che si dichiarano sostenibili senza criteri ESG rigorosi
  • Prodotti finanziari che utilizzano terminologie green senza sostanza
  • Banche che promuovono il loro impegno climatico mentre finanziano progetti ad alto impatto ambientale

Cosa si sta facendo per contrastare il greenwashing

L’Unione Europea ha sviluppato un framework normativo articolato per combattere il greenwashing, riconoscendo la necessità di proteggere consumatori e investitori da pratiche ingannevoli che danneggiano anche la credibilità delle aziende realmente impegnate nella sostenibilità.

La Direttiva 2024/825 contro il greenwashing

La Direttiva greenwashing UE 2024/825, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 6 marzo 2024, rappresenta il primo strumento normativo specifico per contrastare il greenwashing. La direttiva, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 27 marzo 2026 e diventerà operativa dal 27 settembre 2026, introduce significative novità nel panorama normativo europeo.

Le principali misure includono:

  • Divieto di affermazioni ambientali generiche: Non è più permesso utilizzare termini come “sostenibile”, “eco-friendly”, “verde” o “naturale” senza poter dimostrare l’eccellenza delle prestazioni ambientali
  • Stop ai marchi di sostenibilità falsi: È vietato esibire marchi di sostenibilità non basati su sistemi di certificazione approvati o stabiliti da autorità pubbliche
  • Limitazioni sulle compensazioni: È proibito dichiarare impatto neutro basandosi solo su compensazioni CO2 senza reali riduzioni delle emissioni
  • Trasparenza sui prodotti: È vietato presentare come identici prodotti commercializzati in Stati diversi quando presentano differenze significative

Il destino incerto della Green Claims Directive

La Green Claims Directive, proposta dalla Commissione Europea nel marzo 2023, avrebbe dovuto rappresentare il completamento del quadro anti-greenwashing. Tuttavia, a giugno 2025, la Commissione Europea ha annunciato l’intenzione di ritirare la proposta dopo le pressioni del Partito Popolare Europeo.

La direttiva prevedeva requisiti ancora più stringenti:

  • Verifica preventiva obbligatoria di tutti i claim ambientali
  • Criteri scientifici rigorosi per la dimostrazione delle affermazioni
  • Controlli più severi sui marchi di sostenibilità privati

Il ritiro ha generato critiche da organizzazioni ambientaliste e consumatori, che denunciano come questa decisione lasci spazio al greenwashing. Secondo ricerche della Commissione Europea, il 53% dei claim verdi nell’UE fornisce informazioni vaghe, fuorvianti o infondate, mentre il 40% non ha prove a sostegno.

Altre iniziative normative

Oltre al framework europeo, diverse giurisdizioni stanno implementando misure specifiche:

  • Stati Uniti: La Federal Trade Commission (FTC) ha emesso linee guida per l’utilizzo di affermazioni ambientali e la SEC ha introdotto nuove regole per la disclosure climatica
  • California: Il Voluntary Carbon Market Disclosure Act richiede trasparenza nelle dichiarazioni climatiche e nelle compensazioni di carbonio
  • Italia: L’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) monitora attivamente le pratiche di greenwashing, irrogando sanzioni significative

Strumenti di contrasto emergenti

Parallelamente alle normative, si stanno sviluppando strumenti tecnici per contrastare il greenwashing:

L’impatto del greenwashing sul mercato

Il greenwashing non danneggia solo i consumatori, ma ha conseguenze sistemiche sull’intero mercato della sostenibilità. Secondo uno studio del 2021 della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, su 1300 annunci pubblicitari analizzati, ben l’83% è risultato tacciabile di greenwashing.

Conseguenze per le aziende

Le aziende che praticano greenwashing rischiano:

  • Danni reputazionali: La perdita di fiducia dei consumatori può essere permanente
  • Sanzioni legali: Multe crescenti e azioni legali da parte di autorità e consumatori
  • Perdita di competitività: Svantaggio rispetto ad aziende realmente sostenibili
  • Costi aggiuntivi: Necessità di investimenti correttivi per ristabilire la credibilità

Effetti sui consumatori e investitori

Il greenwashing crea asimmetrie informative che ostacolano le scelte consapevoli. I consumatori attenti alla sostenibilità ambientale e gli investitori focalizzati sui criteri ESG si trovano a dover navigare in un mercato dove distinguere impegni autentici da comunicazione ingannevole diventa sempre più complesso.

Come riconoscere e contrastare il greenwashing

Per consumatori, investitori e stakeholder esistono diverse strategie per identificare e contrastare il greenwashing:

Segnali di allarme

  • Mancanza di dati specifici: Affermazioni generiche senza numeri o obiettivi misurabili
  • Assenza di certificazioni riconosciute: Utilizzo di loghi auto-creati o standard non verificabili
  • Sproporzione: Investimenti pubblicitari superiori agli investimenti in sostenibilità
  • Inconsistenza: Contraddizioni tra comunicazione green e pratiche aziendali effettive

Strumenti di verifica

Per valutare l’autenticità dell’impegno sostenibile di un’azienda, è importante verificare:

Il ruolo delle certificazioni ambientali

Le certificazioni ambientali rappresentano uno strumento fondamentale per distinguere impegni autentici da greenwashing. Standard riconosciuti come ISO 26000 per la responsabilità sociale, UNI/PdR 125:2022 per la parità di genere, e ISO 14064 per la quantificazione delle emissioni GHG forniscono framework verificabili per valutare l’impegno sostenibile.

Green marketing vs greenwashing

È importante distinguere tra green marketing autentico e greenwashing. Il green marketing legittimo si basa su impegni concreti, dati verificabili e miglioramenti misurabili delle performance ambientali. Include strategie di comunicare sostenibilità aziendale che sono trasparenti, documentate e coerenti con le pratiche operative dell’azienda.

L’importanza dell’economia circolare

Un approccio autentico alla sostenibilità richiede l’adozione di principi di economia circolare, che vanno ben oltre le dichiarazioni di marketing. Le aziende impegnate nella decarbonizzazione implementano strategie concrete per ridurre le proprie emissioni GHG attraverso energie rinnovabiliefficientamento energetico aziendale, e l’adozione di tecnologie pulite.

Il greenwashing rappresenta una minaccia seria per la credibilità della sostenibilità e dello sviluppo sostenibile. Solo attraverso una combinazione di normative più stringenti, maggiore trasparenza aziendale e crescente consapevolezza degli stakeholder sarà possibile costruire un mercato dove la sostenibilità sia autentica e verificabile, supportata da piani di sostenibilità concreti e misurabili, non solo comunicata.